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È stata fatta giustizia per Emanuele Pecoraro: i genitori del parà della Folgore di Tarvisio hanno vinto la loro battaglia. Il Tribunale ordinario di Roma ha riconosciuto ufficialmente che il 1 luglio di dieci anni fa è morto per esposizione all'uranio impoverito durante missioni all'estero. Di conseguenza, il Ministero della Difesa è stato condannato al risarcimento ai danni alla famiglia del militare. Nella sentenza c'è un passaggio chiave che getta ombre sugli utilizzi militari di questa sostanza: «I militari non erano stati informati del rischio di insorgenza delle malattie tumorali e non erano stati dotati degli opportuni dispositivi di sicurezza per prevenire l'inalazione e il contatto con polveri di uranio impoverito». Mariano e Nadia Pecoraro non avevano chiesto soldi, ma giustizia per quel figlio che servendo il Paese si è ammalato. Impiegato in Kosovo, Afghanistan e Iraq, Emanuele Pecoraro aveva manifestato i primi sintomi di un carcinoma osseo nel 2006, dopo il rientro a casa. Dopo mesi di sofferenza al Cro di Aviano ha perso, però, questa battaglia per sopravvivere.
"UNA LIBERAZIONE, MA NON CI IMPORTA DEI SOLDI"
Dopo la morte del figlio, Mariano e Nadia Pecoraro hanno cominciato una lunga battaglia legale chiedendo che fossero riconosciute le responsabilità di questa morte. E ora possono dire di aver vinto questa battaglia. Lo ha stabilito il 12 ottobre scorso il Tribunale ordinario di Roma, esprimendosi sul caso di Emanuele Pecoraro, detto Pek. «Per noi è una liberazione. Non ci interessano i soldi, perché nostro figlio non lo potremo riavere indietro, ma giustizia è fatta. Glielo dovevamo. Per noi è un successo enorme, ci sono famiglie che aspettano risposte anche da 13-14 anni», il commento dei genitori di Emanuele Pecoraro.